Col nome di armonia si indica il ramo della teoria musicale che studia la sovrapposizione "verticale" (simultanea) dei suoni, la loro reciproca concatenazione (accordi) e la loro funzione.
Per gli antichi greci, armonia significava gamma e logica successione di suoni, mentre nel medioevo diviene la combinazione di suoni concomitanti e in qualche modo affini.
L'armonia come disciplina autonoma nasce con Jean-Philippe Rameau (Traité de l'harmonie, 1722) il quale pone le basi della teoria dei rivolti e dei gradi armonici. La concezione illuministica di Rameau si scontrò già all'epoca con quella empirista della scuola del basso continuo, ponendo così le basi per una secolare diatriba tra l'armonia vista come scienza o come arte.
Lo studio dell'armonia si basa essenzialmente su di un'analisi approfondita della musica vocale antica, e molte delle regole fondamentali dell'armonia così chiamata classica derivano dalla possibilità esecutiva vocale di un determinato passaggio o intervallo.
L'armonia si sviluppò ulteriormente, fino a diventare il ramo più importante della teoria musicale, relegando il contrappunto ai margini dello studio della composizione. In questo periodo nacquero diverse scuole di pensiero in contrapposizione fra loro. In Francia, la concezione armonica del teorico belga François-Joseph Fétis, basata sull'idea di percezione, si contrappose alla forte influenza esercitata dal pensiero scientifico positivista sulla teoria musicale (Hermann von Helmholtz). In Italia il formidabile prestigio della settecentesca scuola di composizione napoletana ritardò lo sviluppo di una autonoma teoria armonica, anche se non mancarono pensatori di grande originalità e acutezza come Abramo Basevi.
Alla fine dell'Ottocento l'armonia, intesa come disciplina teorica, si trovava nella sua fase di massimo sviluppo. Alle teorie sopra accennate vanno ad aggiungersi quelle di Hugo Riemann, basate sull'idea di logica musicale (teoria funzionale), mentre continuavano ad esercitare forte influenza a Vienna l'insegnamento di Simon Sechter, e a Parigi e in Italia gli scritti di Antonin Reicha e Charles Simon Catel.
All'inizio del Novecento le teorie armoniche si preoccupano, da una parte, di cercare un fondamento razionale all'ampliamento del linguaggio musicale allora in pieno sviluppo: dall'altra, inizia a emergere la consapevolezza di un crescente divario tra la teoria armonica tradizionale e la prassi dei compositori classici.
Due importanti trattati esemplificano queste opposte esigenze: La Harmonielehre di Arnold Schönberg (1911) e la Harmonielehre di Heinrich Schenker (1906). La prima può essere considerata l'ultimo grande trattato di armonia prescrittiva; la seconda il primo trattato moderno di armonia analitica.
Nel corso del Novecento i trattati di armonia proseguirono lungo questo doppio binario: da una parte i trattati prescrittivi (la grande maggioranza, almeno fino alla metà del secolo) miravano a istruire il compositore e allo stesso tempo ad allargare la sua tavolozza sonora con combinazioni di accordi complesse o inconsuete; dall'altra i trattati analitici (più numerosi nella seconda metà del XX secolo) puntavano a fornire al musicista strumenti in grado di comprendere meglio le opere del passato, nella consapevolezza che il linguaggio armonico si era oramai storicizzato.